Nell’affrontare il tema generale della sostenibilità ambientale e uno degli argomenti che più spesso viene posto in risalto è la produzione e il destino dei rifiuti che quotidianamente produciamo. Nell’attuale sistema economico ogni attività produttiva ha infatti come sottoprodotto degli scarti che, nella grande maggioranza dei casi, vengono eliminati tramite il conferimento in discarica o l’incenerimento. Questo meccanismo ha notevoli impatti a livello ambientale legati da un lato al consumo di risorse esauribili per la produzione di beni, e quindi di rifiuti, e dall’altro all’introduzione nell’ambiente (atmosfera, mari, suoli, ecc) di sostanze di scarto derivanti appunto dalle produzioni primarie.
Tuttavia, negli ultimi decenni, il concetto di rifiuto ha subito una grande evoluzione. La consapevolezza della scarsità delle risorse a nostra disposizione sta portando a concepire i rifiuti non più come scarto ma come una risorsa, abbandonando l’idea di “disinquinamento dai rifiuti” basata sul loro incenerimento o confinamento in discarica, per rivolgersi a un concetto di reintroduzione degli scarti nei cicli produttivi[1]. Questo approccio fa riferimento al concetto di economia circolare, intesa come “un nuovo modo di gestire la creazione di valore, in linea con le esigenze di sostenibilità e tramite la rottura del tradizionale concetto di economia lineare caratterizzata da logiche di apporvigionamento-produzione-utilizzo-scarto. [Essa] prevede infatti un virtuoso e sinergico riutilizzo di tutte le risorse (materie prime, energia, spazio, momento di consumo, ecc.) che ri-alimentano, in un processo rinnovabile, il ciclo produzione-consumo, con evidenti impatti positivi dal punto di vista ambientale, sociale ed economico”[2].
Ciò ha portato alla ridefinizione anche di alcune metodologie consolidate in ambito ambientale come le valutazioni LCA (Life Cycle Assessment) che si stanno orientando sempre più verso un approccio from Cradle to Cradle (dalla culla a culla), dando cioè molta importanza alle fasi di fine vita del prodotto e di re-immissione nel ciclo produttivo di quelle che ora sono definite Materie Prime Secondarie (MPS)[3] e non più rifiuti.
In questo scenario il tema della produzione di rifiuti edilizi (legati a processi di costruzione e demolizione) assume un ruolo di notevole interesse. Infatti, nonostante l’emanazione nel 2008 della Direttiva 2008/98/CE che spinge verso la riduzione della produzione di rifiuti, imponendo una loro corretta gestione in fase di smaltimento e la riduzione del 70% della produzione dei rifiuti da costruzione e demolizione entro il 2020, la crescita del settore delle riqualificazioni edilizie ha di fatto portato ad un aumento della produzione di tali rifiuti di tale categoria.
Secondo il rapporto ISPRA 2017, nel 2015, i rifiuti derivanti dal settore edilizio in Italia sono stati più di 2,8 milioni di tonnellate di cui 2,5 milioni di rifiuti non pericolosi e 310.000 tonnellate di rifiuti pericolosi. A livello nazionale essi rappresentano circa il 25% dei rifiuti smaltiti in discarica e sono composti per il 69,3% da terre e rocce di scavo, per il 18,4% da rifiuti misti indifferenziati, e per il 12,3 % da altre tipologie specifiche. Di questi il 77,5% viene smaltito in discariche per rifiuti inerti, il 20% in discariche per rifiuti non pericolosi e il 2,5% in centri per lo smaltimento di rifiuti pericolosi.[4] Tra i rifiuti non pericolosi troviamo calcestruzzo armato, mattoni, telai per serramenti, vetro, cavi elettrici, tubazioni, ceramiche e asfalto, tutti materiali potenzialmente riciclabili e introducibili in nuovi processi produttivi per ridurre l’impatto ambientale sia in termini di consumo di risorse che di emissioni di gas serra. Tuttavia in Italia, stime non ufficiali, dimostrano che quasi il 90% dei rifiuti edili non pericolosi sono smaltiti, o meglio depositati, in discariche indifferenziate senza passare per processi di riciclo o recupero. Una grande risorsa viene quindi depositata nel posto sbagliato facendo del concetto di economia circolare in edilizia un traguardo ancora lontano da raggiungere.
[1] Crf. Longo D., Decostruzione e riuso. Procedure e tecniche di valorizzazione dei residui edilizi in Italia, Alinea, Firenze, 2007.
[2] Cfr. Lacy P., Rutqvist J., Lamonica B., Circular economy. Dallo spreco al valore, Egea, Milano, 2016.
[3] Per la definizione di materia prima secondaria si rimanda alla Direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti, che introduce il concetto di “cessazione di qualifica di rifiuto” per quelle sostanze che sono comunemente utilizzata per scopi specifici, per cui esiste un mercato o domanda, che soddisfano i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa esistente e il cui utilizzo non porti a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.
[4] Cfr. Sferra A. S., I rifiuti in edilizia. Riuso e riciclo nell’industria 4.0, Milano, FrancoAngeli, 2018.
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